Il Blog di LabFor

Questo blog è scritto a quattro mani. Quando leggerete troverete l'essenza di noi. Leggerete la nostra esperienza di vita, come mamme e come educatrici. Questo blog è la nostra visione pedagogica. Questo blog siamo noi! Il nostro motto è: L'ESPERIENZA DEGLI EDUCATORI AL SERVIZIO DEI GENITORI! Aiutateci a rendere speciale questo blog con le vostre condivisioni e i vostri commenti...

lunedì 7 dicembre 2020

Il tempo corre

Il tempo corre. Corre proprio veloce e in un attimo la mia piccola bambina coccolosa e pucciosa ha subìto una metamorfosi irreversibile. È diventata donna. A volte la guardo e mi commuovo, altre volte vorrei disintegrarla con lo sguardo. La convivenza con una quattordicenne è così: gioie e dolori. Più spesso dolori, a essere sincere…

La verità è che sono sconcertata dal battito di ciglia che mi divide dal giorno in cui sono diventata mamma per la prima volta. Un soffio di tempo che mi ha portata a oggi. Ma se mi fermo e ripenso a questo tempo, ricordo bene l’impegno, la fatica, la tenacia che richiede crescere una figlia cercando in tutti i modi di preservare la sua unicità e allo stesso tempo cercando di fornirle un’educazione che le permetta di scoprire il senso della giustizia, dell’onestà, della semplice (o forse no) distinzione fra bene e male. 

Un susseguirsi di domande interiori: “Avrò fatto bene? Avrò detto la cosa giusta? Avrà capito?”. Un susseguirsi di scelte: dire no, dire sì, mettere regole, a volte condivise altre no. Il difficile mestiere del genitore. Un viaggio impegnativo, complicato, che passa attraverso tempeste (ormonali e non) e che non ci è dato sapere dove condurrà. Pur navigando a vista però possiamo cercare di tenere la rotta. Possiamo avere nella nostra mente l’idea di dove vogliamo portare i nostri figli. Possiamo cercare il nostro fuoco e fare scelte responsabilmente.

Pensare che i nostri figli possano affrontare il mondo senza che siano dotati di strumenti, di una guida, di un porto sicuro dove tornare quando il mare è in burrasca, farà perdere loro la strada. La vita è incerta. Questo lo so per certo. Ma io accanto a quella bambina coccolosa e pucciosa ci sarò. Sarò lì a rimproverarla quando testardamente non avrà voluto darmi ascolto. Sarò lì a consolarla quando cadrà e piangerà pur se non sarà più per un ginocchio sbucciato. Sarò lì a ridere delle cose sciocche che racconterà, a ballare le sue canzoni, ad ascoltare i suoi segreti. Sarò lì perché ci sono sempre stata. Sarò lì perché mi sono sempre fatta trovare, nella fatica dei giorni carichi di impegni e routine. Sarò lì, perché ho scelto di esserci fin dal primo giorno. Perciò adesso salirò le scale, forse un po' troppo rumorosamente, e la abbraccerò forte forte, così, senza motivo. O per il solo grande motivo che la amo, fino al prossimo sguardo disintegrante.

giovedì 3 maggio 2018

Specchio, servo delle mie brame


Vuoi vedere che ho sbagliato?
Per anni, che mi sembrano infiniti a dire il vero, sono stata convinta che lo specchio fosse al servizio della Regina e che lei avesse il comando. Ah, quale inganno!
Povera regina illusa e che convinta della propria illusione continua a ripetere: "specchio, servo delle Mie brame…". Ma non vi è inganno peggiore perchè la verità è un’altra. La verità è che oggi, mai come prima, l’immagine è "noi" e noi siamo la nostra immagine. Specchio, padrone delle mie brame!
Per lui siamo disposti a tutto. Vestiti, casa, macchina, vacanze, fidanzato, matrimonio o convivenza, a dipendenza dalle mode, e ovviamente figli. Sono crudele? Forse, o forse sono solo un’osservatrice che raccoglie i pezzi e li ricompone. E quello che osservo è che, a proposito di specchi, i nostri figli sono essi stessi il nostro specchio delle brame. Lo sono in tutto. E non parlo solo di vestiti o estetica ma anche, e soprattutto, di educazione. I nostri bambini devono rispecchiare l’idea che noi abbiamo di figli perché, se sono lo specchio di ciò che siamo, allo noi siamo ciò che sono i nostri figli. E quindi sia mai che loro piangano, che loro siano in errore, che vengano rimproverati. Sia mai che cadano o inciampino. Noi non possiamo permetterlo. Non possiamo, e non in difesa loro ma in difesa di noi stessi, del nostro narcisismo genitoriale. La nostra identità di buon genitore ne viene meno. Viene intaccata l’immagine riflessa nello specchio della nostra capacità genitoriale.
E allora la domanda è: “E’ vero che i bambini non sanno accettare la frustrazione?”. Vero, verissimo! Ma la domanda ancor più grande è: “E’ vero che gli adulti sono altrettanto incapaci di farlo?”. Osservo ciò che vedo e ai genitori vorrei dire: “Lasciate sbagliare i vostri figli, lasciateli cadere pur restando accanto a per insegnargli a rialzarsi, per insegnargli ad imparare dai propri errori, per insegnar loro ad essere più consapevoli del fatto che tutti, ma proprio tutti, sbagliamo. Non cercate sempre di sostenerli con corde che non appartengono loro. Non anticipate ogni mossa. Non coprite sempre loro le spalle perché l’errore è la roccia su cui si basa l’apprendimento!”. Ma quanto è difficile rompere lo specchio? Quanto è difficile agire per liberare anziché agire per incatenare? Sopportare la frustrazione di un pianto? Trattenersi dal trattenere? Superare il desiderio di anticipare le cadute? Difficile, lo sappiamo. Eccome se lo è! Ma non si dice forse che la scienza avanzi per tentativi ed errori? E la vita non fa forse lo stesso? E allora perché noi assolutamente non possiamo vedere i nostri figli sbagliare? Perché siamo convinti che i loro errori mostrino di noi il riflesso di ciò che non vorremmo vedere?
Grande il desiderio di dire "Specchio, servo delle mie brame, mostrami chi è la più brava del reame!", ma più saggio sarebbe rompere quello specchio e liberarsi dall’immagine che immaginiamo per accettare la sfida del divenire e del comprendere!










venerdì 6 aprile 2018

L'educazione al nulla


Siamo rientrati dalle vacanze pasquali e, per chi come me lavora nella scuola, è il momento di ripartire, di riprendere la strada ma, verso dove?
Mi guardo attorno e mi sento come in stallo. Vedo programmi, testi, metodi, laboratori di ogni tipologia, specialisti con qualunque specializzazione, corsi di formazione da intraprendere per implementare le competenze. Vedo infiniti elenchi puntati da spuntare e ho come l’impressione di trovarmi dentro una lavatrice con inserita la centrifuga a 1400 giri, il che, devo dire, ha i suoi innumerevoli vantaggi ma quando ha a che fare con questioni formative ed educative temo proprio non sia così utile perché, a furia di fare e dover far fare mille cose ai nostri bambini, finiamo per vivere con l’ansia da prestazione e per farla vivere a loro già a quattro anni. Non se ne può più! Ci siamo ormai convinti che per essere bravi, competenti e quindi competitivi si debba necessariamente fare tanto, fare TUTTO. Ma siamo sicuri che il tutto sia ciò che ci occorre per vivere, per “essere”? E se sì, per fare cosa? Per andare dove?

A questo punto ho preso una decisione: dedicarmi all’educazione al nulla.
Sì, proprio così! Al vuoto, al buio, al silenzio, all’attesa. Scelgo di tornare ad educare alle antiche competenze: al sapersi fermare, corpo e mente, al sapersi svuotare, al sapersi estraniare dal tutto per ri-trovarsi, auto-accudirsi, auto-curarsi e amarsi.
Allora, a fronte di questa riflessione e certa della mia ipotesi, sperimento! Sperimento a scuola e scopro immediatamente che la mia richiesta è elevatissima! Non è un test di algebra, non è un tema di greco e nemmeno un esame d’inglese, che ormai usiamo più della nostra lingua.
No! La mia richiesta sembra, in apparenza, molto semplice. Chiedo ai bambini di fermarsi, di fermare il loro corpo, di chiudere gli occhi e rimanere lì, così, solo per qualche istante. Ma in quell’istante è immediatamente evidente che questa mia richiesta è troppo. Capisco di aver chiesto loro di rifugiarsi in sè stessi, di isolarsi da tutto ciò che li circonda, di chiudere vista ed udito, di scendere dentro sé per cercarsi ed incontrarsi con se stessi. Ma perché questa richiesta è così elevata? Ora credo di dover riflettere su questo, a occhi chiusi e ad occhi spalancati. Credo sia fondamentale chiedersi perché queste nuove generazioni non riescano a chiudere gli occhi, a restare fermi, a non fare niente. Fondamentale chiedersi se è veramente perduta la “capacità innata dell’essere umano, presente già dai primi giorni di vita, di connettersi col proprio spazio interiore passando attraverso il proprio corpo”. E chiedersi, infine, se sia possibile riappropriarsi di questa competenza “archetipa”.
Muoversi in continuo è corretto? Percepire sempre stimoli a livello acustico e visivo è corretto? Forse dovremmo interrogarci su come agire per ricondurre all’equilibrio perché io credo che tutto abbia significato se può trovare equilibrio. Così come la notte e il giorno, il nutrimento e il digiuno, la veglia e il sonno così anche l’ascolto e il silenzio, il movimento e la stasi.
Per questo ciò che vorrei fare da oggi è dedicarmi all’educazione al nulla con la viva speranza di donare ai bambini la capacità di ritrovarsi, di ritrovare il proprio spazio dove essere solo e semplicemente loro stessi senza nessun’altra richiesta.





venerdì 5 gennaio 2018

Il tempo del non-tempo

I luoghi comuni su una società che corre troppo ormai sono più che conosciuti. Eppure le cose non cambiano. Eppur tutto si muove...E noi quanto siamo realmente capaci di rallentare e attendere? Quanto siamo propensi ad ascoltare il richiamo di un corpo e di una mente che ci chiedono di ritrovare la dimensione del riposo e della pace?
Tutti corriamo, tutti ci prodighiamo, tutti ci diamo da fare per stare al passo, produrre, creare, avere obiettivi, inseguire vision e mission e sembra quasi che chi non ne abbia, o non ne cerchi, non sia abbastanza ambizioso e capace. Ci hanno insegnato che la vita non ci regala niente e che dobbiamo andare a prenderci quello che vogliamo, dobbiamo lottare, sudare, passare il nostro tempo alla continua ricerca e rincorsa del benessere, dello status e di chissà che cosa altro. E dopo aver corso tanto finiamo col ritrovarci sfiniti e stressati a iscriverci a corsi di meditazione zen, di yoga trascendentale e di meta-comunicazione astrale.  Decidiamo che dobbiamo ritrovare noi stessi e allora segniamo in agenda l’appuntamento fisso del mercoledì sera in cui, almeno per un’ora, tentiamo di concentrarci su noi stessi, sui nostri bisogni spirituali e sulla nostra sfera privata. E lo facciamo. Per quell’ora.
Poi ricominciamo. Torniamo a correre, affrettarci, avvampare. Dimentichiamo il ritmo orientale dei corsi a pagamento e prendiamo la metropolitana dello stress quotidiano. Così viviamo. Ogni giorno.
La consapevolezza di questa contraddizione fa riflettere. Fa pensare a quanto ci stiamo perdendo in questa continua rincorsa all’oro. “Lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare?” si domandava qualcuno. E in questo vortice trasciniamo anche i nostri piccoli che a cinque anni vengono presi, portati, lasciati, ripresi, in un rito senza fine e che dopo tutto questo hanno bisogno del corso di meditazione infantile per ricordarsi di essere bambini e imparare a gestire la rabbia verso chi li costringe ad essere altro. Che senso ha tutto questo? Dove li stiamo traghettando? In un futuro in cui avranno iniziato a correre troppo presto e smetteranno di farlo troppo tardi? Cosa scegliamo di essere per loro? Cosa vogliamo che siano per se stessi?
A volte non è solo il corso di yoga quello di cui abbiamo bisogno. A volte dobbiamo fermarci per praticare l’introspezione, la narrazione di noi, la ricerca del vero significato della nostra esistenza per trovare la risposta che cerchiamo. Ma fa paura fermarsi. Fa spavento avere tempo da dedicare alla noia, all’ozio, al dolce far niente. Ci attanagliano i sensi di colpa del tempo perso, di tutto quello che abbiamo da fare e non stiamo facendo. 
Ma qual è davvero il tempo che stiamo perdendo? Che cos'è ciò che davvero può fare bene a noi, ai nostri figli con noi, e alla nostra anima?
Ecco io credo che ciò di cui abbiamo bisogno sia ritrovare il tempo del non tempo, il luogo del non luogo, per sapere di essere esattamente dove si è, nel momento in cui si è e con chi si vuole veramente essere. Questo cura il nostro spirito e, di conseguenza, il nostro corpo che forse smetterà di urlare sordo rimanendo inascoltato fino a quando non ci accorgeremo che il nostro tempo è ormai trascorso.

sabato 14 ottobre 2017

Come quadri di Monet

Esistono trucchi e leggi della fisica che regolino anche gli interventi educativi? Esistono manuali per affrontare la genitorialità? In tanti se lo chiedono. In tanti vanno alla ricerca di risposte certe e metodi standard da applicare per “non sbagliare” e essere bravi genitori.
Ma devo darvi una cattiva notizia: il manuale non esiste. Non esiste nessun educatore o pedagogista in grado di darvi un elenco puntato di azioni da svolgere per ogni situazione senza conoscere voi e soprattutto senza conoscere i vostri bambini. Tutti noi siamo come quadri di Monet. Siamo composti da migliaia di pennellate singole che creano nel complesso un meraviglioso capolavoro. Un capolavoro unico. Nessuno di noi è la copia di qualcun altro. Nessuno di noi può essere riprodotto in serie. Siamo fatti di esperienze, bagagli genetici, attività fisiologiche e corporee, emozioni. Agiamo nel e rispondiamo all’ambiente in cui viviamo. Ecco perché un manuale non può esistere. Ecco perché non esiste un’azione per ogni situazione.
Esistono però buone prassi educative. Esistono però consigli generali che un educatore può dare e che possono diventare spunti di riflessione che ogni famiglia può cogliere per inserire nel proprio agire quotidiano alcuni cambiamenti che permettano di migliorare le personalità in crescita dei propri figli.
Uno di questi consigli, che oggi vorrei darvi, riguarda proprio la visione globale della crescita dei nostri bambini. I nostri cuccioli non sono singole pennellate ma un capolavoro complesso, fatto però proprio da questo insieme di tratti. Crescere un figlio in equilibrio significa sapere quali sono i tratti di una persona che vanno coltivati. Questi aspetti, secondo me, sono fondamentalmente 4 e sono nel seguente ordine di importanza:
1.       Prendersi cura del loro corpo e insegnare loro a farlo: mantenerli in uno stato di salute attraverso una sana alimentazione, attraverso il movimento, il giusto ritmo di attività-riposo, la pulizia e l’igiene personale. Un corpo sano ed equilibrato permettere il corretto svolgimento delle funzioni corporee e di conseguenza cognitive e di apprendimento.
2.       (in parallelo) Prendersi cura delle loro menti e insegnare loro a farlo: dedicarsi allo sviluppo del loro pensiero, fare loro domande sulle cose e rispondere alle loro stesse domande, aiutarli a scegliere attività che li rilassino e aiutino lo scorrere dei pensieri, leggere con e per loro, interessarsi con loro alle cose, interessarli alle cose. Una mente sana e in equilibrio è portatrice di salute.
3.       Insegnare loro a prendersi cura degli altri con gesti volontari di aiuto. Sottolineare e riconoscere i loro gesti di aiuto spontanei come fondamentali e importanti.
4.       Insegnare loro a prendersi cura delle proprie cose: insegnare loro a usare con cura le cose, che c’è un posto per ogni cosa e che ogni cosa va al proprio posto, che è importante tenere pulito il luogo in cui si vive e si lavora, e che le proprie cose hanno un valore.

Perché questi quattro punti in questo ordine? Perché un corpo sano aiuta la salute mentale e viceversa. Perché l’equilibrio dei primi due permette di orientarsi verso l’altro. Perché lo sviluppo del sano senso estetico e del “bello”, ultimo ma non meno importante, riporta alla cura di sé e dell’altro da sé. Un piccolo inizio, tutto da approfondire, che ci permetterà di metterci in discussione e mettere in discussione le nostri azioni educative quotidiane.  

martedì 5 settembre 2017

Il ciclone

Eccoci. Prima o poi doveva succedere. Il ciclone si è abbattuto sulla mia casa. Era inevitabile e lo stavamo aspettando. Speravamo che ritardasse rispetto alle previsioni ma purtroppo è arrivato portato dai venti caldi dell’estate. L’aspetto del ciclone è all’incirca questo:
  • Si manifesta intorno ai 10 anni.
  • Si abbatte con forza e travolge tutto quello che incontra.
  • È carico di energia indomabile e potenzialmente distruttiva.
  • È difficile da incanalare e governare.
  • Passa da stati di quiete quasi catatonica a momenti di tempesta rabbiosa.
  • E’ a tratti, piuttosto frequenti, insopportabile.

Il ciclone ha anche aspetti remoti e poco visibili a causa della sua apparenza terrificante. I lati oscuri del ciclone sono i seguenti:
  • Instabilità interna.
  • Fragilità.
  • Umidità da condotti lacrimali.
  • Bisogno estremo di anticicloni.

Chiunque abbia, come me, figli intorno ai dieci anni ha perfettamente capito di cosa sto parlando. E’ il ciclone PREADOLESCENZA. Prima o poi arriva per tutti. Prima o poi dobbiamo farci i conti come genitori così come abbiamo dovuto farci i conti durante la nostra crescita. Ma quando tocca ai nostri figli, beh, è tutta un’altra storia. I nostri meravigliosi cuccioli profumati da angelo e accoccolati sulla nostra pancia si trasformano in demoni dalle unghie affilate e i canini insanguinati. Ce l’hanno con il mondo. Ma soprattutto ce l’hanno con noi. Sono bravissimi a riconoscere i nostri passi falsi (perché ne facciamo, eccome). Sono martellanti e terribilmente insopportabili. Vogliono fare cose ma non le vogliono fare. Sono euforici e sono tristi. E poi, all’improvviso, piangono e si chiudono in un silenzio assordante. Lo fanno proprio mentre tu sei così arrabbiato per l’ultima loro performance che gli strapperesti un dito a morsi. Ma come fai? Li trovi lì, nella loro stanza, cuffie alle orecchie e occhi da cane bastonato. I preadolescenti sono questo. Un tumulto di emozioni in una personalità in crescita. Vogliono spiccare il volo ma alle ali hanno quattro piume striminzite e spesso hanno più paura che coraggio. Vogliono dire la loro ma molte volte i pensieri gli si confondono nella testa e dicono cose incomprensibili. Andrebbero a vivere da soli ma appena te ne esci dalla porta si sentono terribilmente soli. Vogliono che tu te ne vada ma hanno l’estremo bisogno di essere accolti, ascoltati, compresi e perfino coccolati (se non in senso stretto, almeno metaforico). E tu sei lì, in mezzo a questo turbinio, che cerchi di fare mente locale ricordando quello che provavi alla loro età e speri di cavartela facendo il minor numero possibile di danni. Cerchi strategie, pensi, provi strade e soluzioni. Ti arrabbi, li metti in punizione, li rimproveri aspramente e poi, una volta calmate le acque, provi a sederti con loro e a intavolare un confronto pacato. Li porti a mangiare un gelato o a vedere un bel film. Fai il genitore nel miglior modo possibile, senza dimenticarti che come genitore hai il compito di guidarli ricordandoti che in primo luogo devi guidare te stesso. La personalità del nostro piccolo demone sta cambiando, sta crescendo e quasi stentiamo a riconoscerlo. Ha bisogno di noi. Ha bisogno di sapere che un giorno quelle quattro piume diventeranno un piumaggio voluminoso e sicuro, che potrà volare, esplorare e tornare al nido da noi. Ma per ora tocca a noi. Ci tocca affrontare questo ciclone stando al loro fianco. Ci tocca cercare nuove strategie per affrontare questa nuova sfida e uscirne insieme da vincitori. Cosa possiamo fare se non trasformarci in pale eoliche e approfittare di questi venti ciclonici per produrre energia utile? Avanti tutta allora e affrontiamo questo ciclone!

martedì 21 marzo 2017

Ce la faremo?

Me lo chiedono a gran voce, loro: il mio ferro da stiro, la mia lavatrice, la mia lavastoviglie, il mio robot che aspira ininterrottamente tutti i santi giorni della settimana puntuale come un orologio Svizzero, sette giorni su sette! Li sento che si lamentano “Basta! Basta!”. E perché? Vogliamo forse non dar voce al mio pc e al mio tablet che fanno da sempre le ore piccole? Possiamo non ascoltare i loro lamenti? “E che diamine! In questa casa non c’è più criterio!”.
I miei vicini hanno affermato tempo fa che i miei elettrodomestici esultano dalla gioia quando vado in vacanza! E hanno ragione.
Oh, quasi dimenticavo! Come posso averlo scordato? Non sono assolutamente democratica. Di tutti i collaboratori involontari e assolutamente preziosi che sostengono la mia esistenza, ho trascurato proprio lui: il mio cellulare!
Oggetto moderno più che mai indispensabile, irrinunciabile, presenza fissa della mia esistenza, presente e futura. Lui c’è! E’ proprio così, c’è sempre. Ci penso e non riesco a capacitarmi di come un oggetto così piccolo possa contenere contemporaneamente desideri, gioie, tristezze, paure. Eppure doveva servire solo a comunicare con maggior facilità, doveva al limite supportarci nelle attività lavorative, organizzative, pragmatiche.
E invece?
Invece si è trasformato nel custode della nostra anima, dei nostri ricordi, dei nostri affetti e della nostra socialità. Allora forse sarà per questo che non riusciamo, ma proprio non ce la facciamo a separarci da lui? A spegnerlo? A lasciarlo a casa? Per questo non riusciamo a silenziarlo quando siamo a casa o durante una serata fuori? Per questo ci risulta più facile silenziare chi ci sta vicino anziché il nostro cellulare?
Me lo chiedo davvero, una domanda profonda: perché la sera, dopo che la giornata di lavoro è finita, noi non riusciamo a spegnere il telefono?
Troppo alta la richiesta? Abbassiamo! Per l’ora di cena? Abbassiamo! Per 30 minuti? Abbassiamo di nuovo.  Per il tempo necessario a parlare con i nostri figli rientrati una volta riuniti a casa? Abbassiamo definitivamente. Per l’attimo sufficiente a guardarli negli occhi i nostri figli e dire loro “Ciao, hai passato una buona giornata?”
E’ ancora troppo il tempo di GUARDARE NEGLI OCCHI? E se abbassassimo ancora la richiesta? Che cosa ci resta? Forse la fotografia del nostro sguardo da inviare loro tramite whatsapp.
Sono cinica, lo so. Drammatica e antiquata, anche. Ma, vedete, incontro tanti genitori, tanti insegnati, tanti istruttori, educatori con la E maiuscola e tra loro molte, moltissime persone semplicemente rassegnate che utilizzano frasi come “ai nostri tempi non era così, non c’era la tecnologia, e bla bla bla”. Ascolto e penso “Davvero è colpa della tecnologia?”. Forse. O forse dovremmo semplicemente fermarci (cosa assolutamente fuori tempo visto il mantra che ci vuole tutti sul pezzo, tutti collegati, tutti efficienti e impattanti). Ma se ci riuscissimo? Se riuscissimo in questo “miracolo” di fermarci potremmo riflettere su quali bisogni nasconde la dipendenza da cellulare. Potremmo avanzare anche ipotesi e possibili soluzioni di liberazione. E sapete perché mi faccio questa domanda? Per il semplice fatto che NOI ADULTI chiediamo, anzi intimiamo ai nostri figli, generazioni nate CON queste tecnologie, di smettere, di lasciare quei benedetti” telefonini, di ascoltarci. Ma noi siamo i primi a non riuscire a smettere. E allora che educatori siamo? Cosa chiediamo loro e cosa mostriamo loro? Ma certo, diranno in molti, per noi è diverso, noi lavoriamo. E già, altra questione pregnante: se è lavoro, allora tutto, ma proprio tutto, passa in seconda piano? E in questo caso cosa stiamo dicendo loro? Ciò che diciamo con le nostre azioni ha un peso enorme rispetto a ciò che diciamo con le parole. Una lotta impari: azioni vs parole. E continuiamo senza nemmeno accorgercene. Chiediamo ai nostri figli di ascoltare mentre non li ascoltiamo, di guardarci mentre non li guardiamo, di smettere mentre non smettiamo. Chiediamo loro di esserci mentre loro vedono un genitore assente, sempre di corsa, che cerca di districarsi fra mille impegni incastrati in agende che, proprio non capisco come mai, sono sempre così piccole…
Cosa ci resta allora se non lanciare una sfida nuova. Una sfida che può essere abbraccia da chiunque di noi abbia pensato, almeno una volta nella propria di vita di genitore, che qualcosa non va.
Ecco la nostra sfida:

  1. Scegliete un tempo da condividere coi vostri figli
  2. Togliete tutti i tipi di suoneria e vibrazioni dal telefono
  3. Scrivete sui vari social “chiedo perdono al mondo ma dovrà sopravvivere senza di me, io sono impegnato con la mia famiglia”
  4. Dedicatevi ad attività di condivisione gradevoli e rassicuranti coi vostri figli


Buon esperimento a tutti e.... fateci sapere come è andata!

mercoledì 8 marzo 2017

Essere donne...secondo me

Questa mattina mi sono svegliata. Una mattina come un’altra. Sempre troppo tardi, sempre troppe cose da fare, sempre di corsa. Alzati, cambiati, sveglia i bambini con dolcezza, aiuta il piccolo a vestirsi, fai la colazione, controlla che tutto sia apposto per il pranzo della grande e via, si esce. Accendo il cellulare. Plin Plin. Diversi messaggi, come sempre. Sbircio veloce. “A te che sei una donna….”, “A te, bimba, ragazza…” “Auguri a tutte!” e poi fiori, fiori, fiori….tantissimi fiori.
Attimo di smarrimento. Ma certo! E’ la festa della donna. Me l’ero scordata. Non di essere una donna, chiaro, ma dell’8 marzo. Perché me n’ero scordata? Forse non ha importanza nel mio immaginario questa festa? Forse penso, come molte persone, che la nostra festa debba essere ogni giorno? O forse penso che per noi donne non sia mai una festa? Non lo so. Fatto sta che me n’ero scordata.
Eppure il mio essere donna per me ha un valore enorme. Oltre ogni immaginazione. Qualcuno arriva perfino a dire che sono una femminista. Dicono di me molte cose. Dicono che sono troppo bacchettona, troppo pretenziosa, troppo convinta. Di cosa non lo so, ma a quanto pare sono troppo convinta. Allora mi sono messa a pensare e ho pensato seriamente a quali siano le mie convinzioni e così ho deciso di raccontarvele.
Ecco alcune cose, fra tante, di cui sono convinta. Sono convinta che ogni essere umano debba nascere libero, libero di autodeterminarsi e di scegliere per sé. Sono però anche convinta che siamo tutti molto lontani da questa bellissima immagine di autodeterminazione.  Sono convinta che in ogni famiglia debba esistere la condivisione e la collaborazione. E anche per questo sono convinta che sia ancora oggi un miraggio. Sono convinta che le donne possano fare grandi cose, se educate alla scoperta di sé. Sono altrettanto convinta che dovranno perennemente convivere per questo con il giudizio colpevole di una società che le vuole sempre un passo indietro a occuparsi dei lavori di cura. Sono convinta che le figlie di oggi possano essere i leader di domani. Allo stesso tempo sono convinta che qualcuno continuerà a non sentirsi all’altezza e qualcun altro continuerà a tentare di impedirglielo. Sono convinta che nessuno dovrebbe essere vittima di violenza, fisica o verbale, ma sono anche convinta che le donne continueranno a subire più degli uomini e in modo più subdolo. Sono convinta che gli stereotipi di genere, quelli striscianti e non espliciti, possano essere scovati e abbattuti; eppure sono convinta che ci siano ancora troppe donne che perpetrano gli stessi stereotipi nell’educazione dei figli. Sono convinta! Sì, e nonostante questo continuo a sperare.
Spero che negli anni continuino a definirmi troppo femminista se questo significa che racconterò ai miei figli e ai miei studenti una storia diversa, se continuerò a raccontare loro la storia di donne che hanno fatto la storia con la loro autodeterminazione, con i loro sacrifici, con i loro sensi di colpa, con la lotta alla discriminazione e al pregiudizio, nonostante le ingiustizie subite. Continuerò a essere convinta e a raccontare la storia di donne come Margherita HacK, Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Maria Montessori, Samanta Cristoforetti, Simone Weil,Marva Collins, Evita Peron, Kathrine Switzer, Maud Wagner, Komaki Kimura e molte molte altre.
La mia festa della donna vuole essere questa. La festa delle conquiste e delle vittorie. La festa di un domani possibile.

Sognate in grande e sarete grandi!!!

lunedì 6 febbraio 2017

Un NORMALE 7 Febbraio

E allora? E' normale... 
Cosa?
E’ normale pensare di essere unici e per questo avere a disposizione tutto?
E’ normale avere risposte per ogni desiderio e soddisfazione per ogni bisogno non ben definito?
E’ normale trasformare ogni cosa e persona in un bene a proprio uso e consumo?
E’ normale essere impermeabili al punto di assistere a qualsivoglia violenza, di filmarla e quasi in contemporanea di girarla sui social riuscendo a gioire per essere stati i primi a pubblicarla?
E’ normale mangiare, cibarsi, nutrirsi mentre si osservano massacri, uccisioni di ogni sorta?
E’ normale osservare adulti che tra loro si insultano, si umiliano, si disprezzano per ottenere audience e attenzione mediatica?
E’ normale avere la fortuna del diritto alla scuola e lì, proprio lì, subire ogni sorta di angheria da parte di compagni?
E’ un normale luogo di Cultura, quello?
E' normale sentirsi soli e inascoltati?
E' normale non sapere cosa significa PARLARE?
PARLARE: articolare suoni che abbiano un senso.
MA parlare in questo caso forse significa: articolare suoni perché vengano accolti, rielaborati, trasformati e utilizzati per trovare spiegazioni, soluzioni, rassicurazioni.
Allora è normale DIALOGARE?
E con chi? Con gli adulti che oggi hanno così paura di ascoltare? Con chi spesso non vuole vedere, non vuole sentire, perché forse, nello specchio di questa società evoluta ci vede il NORMALE riflesso di sé? Dei propri errori e delle proprie omissioni? Perché vede e teme di riconoscere un nuovo genere evoluto della propria specie? 
Né alto né basso, maschio o femmina, un po’ giovane e un po’ vecchio, con i capelli lunghi ma anche corti, gli occhi non saprei, possono essere di molti colori, né magro né grasso, ma una certezza: bipede e Homo Sapiens Sapiens. 
Sembra abbia un cervello molto evoluto, sembra abbia la necessità di organizzarsi socialmente, sembra abbia la necessità di comprendere il mondo, sembra desideri DOMINARLO. 
E' normale...Si è evoluto, l’essere umano.
Sembra che un tempo fosse dotato di diverse “capacità” sensoriali: vista, udito, gusto, olfatto, tatto, termopercezione e sembra che le utilizzasse per interagire con gli altri abitanti del suo pianeta: la Terra. 
Sembra che un tempo potesse vivere diverse emozioni: gioia, sorpresa, tristezza, rabbia, paura, disgusto. 
Sembra che l’evoluzione della specie lo abbia condotto a un congelamento di sensi ed emozioni a favore di una realtà parallela, al di fuori del proprio corpo, dove l’altro non esiste, dove l’altro non soffre, dove l’altro è fatto solo di pixel che scorrono puntando l’indice.
E allora…cosa è normale in questa nuova società evoluta?
E’ NORMALE COMMETTERE VIOLENZA SUGLI ALTRI?
E’ NORMALE RESTARE AD OSSERVARE MENTRE QUESTO ACCADE?
E’ NORMALE FARE IL TIFO ED INCITARE CHI MATERIALMENTE COMMETTE VIOLENZA?
E’ NORMALE FILMARE E MANDARE SUI SOCIAL?
E’ NORMALE GIOIRE PERCHE’ SI E’ ASSISTITO E PERCHE’ SI PUO’ RACCONTARE?
E’ NORMALE NON CONSIDERARE NESSUNO CAPACE DI ASCOLTARE IL NOSTRO BISOGNO DI AIUTO?
E’ NORMALE CONSIDERARE TUTTO QUESTO NORMALE?






mercoledì 18 gennaio 2017

10000 VISUALIZZAZIONI


Oggi vogliamo solo ringraziare tutti voi per la vostra affezionata presenza. Abbiamo raggiunto e superato lo strepitoso traguardo delle 10.000 visualizzazioni e per questo dobbiamo ringraziare voi!
Il nostro impegno per la diffusione di cultura educativa, per lo stimolo alle riflessioni, per il supporto al difficile compito di educare CONTINUERA'.
Grazie grazie grazie!
Continuate a seguirci e se volete aiutare il nostro progetto CONDIVIDETE i nostri post sulle vostre bacheche e nei gruppi di amici....
A PRESTO per il prossimo post!